Il 7 aprile è morto a Roma Gino Stefani, semiologo, musicista, animatore. Moltissime persone che oggi si occupano di popular music in Italia hanno seguito i suoi corsi al Dams di Bologna tra la fine degli anni Settanta e la fine degli anni Novanta. Riportiamo sotto un ricordo dello studioso scritto da due dei suoi allievi, Roberto Agostini e Luca Marconi.
Vogliamo ricordare Gino Stefani, e lo facciamo innanzitutto con le parole da lui inserite nel paragrafo “Popular music” dell’introduzione che Dario Martinelli era riuscito a fargli scrivere per il volume La coscienza di Gino:
«Stare dalla parte del popolo era la mia posizione nel campo della musica liturgica; far emergere i potenziali musicali della gente era il progetto dell’animazione; valorizzare la competenza musicale comune è un obiettivo che permea la mia ricerca semiotica. E prima ancora, non va dimenticato che le mie radici musicali sono nella canzone. Era dunque naturale che mi interessassi degli studi sulla Popular Music, allora nascenti, per sostenerli. Così feci pubblicare in italiano il primo libro di Philip Tagg, che apprezzo molto, e collaborai con altri amici studiosi che stimo, come Franco Fabbri e poi Roberto Agostini, nel promuovere l’associazione italiana in quel campo. Quanto ai miei contributi di studio, come per tutti gli altri generi musicali la mia attenzione non era tanto ai repertori – qui, popolari – in sé, quanto ai modi di appropriazione, all’arte di arrangiarsi, alle mosse e tattiche cognitive e creative della gente comune sulla musica. Questi aspetti, ai quali dedicai più di un corso annuale all’Università, appaiono infatti tanto dai miei interventi quanto dal volume, a mia cura, Dal Blues al Liscio. Studi sull’esperienza musicale comune (1992), di miei allievi laureati. Si potrebbe concludere con una battuta, dicendo che i miei, più che studi sulla musica popolare, sono studi popolari sulla musica».
La frase finale con la quale Stefani chiudeva il paragrafo era tutt’altro che una battuta: era la sintesi di un approccio rilevabile fin dai suoi primi rapporti con i popular music studies, ma ancor di più è stato il marchio che egli faceva emergere costantemente nelle diverse sedi nelle quali si presentava, che non si limitavano alla sola Italia. Anzi, è stato merito suo se nel panorama culturale italiano ha avuto una prima circolazione il pensiero di molti studiosi stranieri che altrimenti sarebbero stati assai meno conosciuti. Ancor di più il marchio del suo approccio emergeva nelle sue lezioni in università, seguendo le quali numerosi studiosi italiani della popular music si sono formati ricevendone stimoli che ben pochi altri docenti universitari italiani riuscivano a fornire: e così è stato in tantissime tesi di laurea delle quali è stato relatore, spesso prime tappe di percorsi che continuano a essere condotti nel nostro campo d’indagine. È con questo stesso marchio che Stefani ha dato un contributo determinante alla fase fondativa dei popular music studies, alla quale ha partecipato attivamente: si pensi ad esempio alle sue pubblicazioni su Popular Music e alla sua partecipazione al convegno di Reggio Emilia del 1983 “What is popular music?”. Gli studiosi di popular music non si dimenticheranno certo dei tanti suggerimenti da lui forniti: non solo le puntualizzazioni sui modi di appropriazione, sull’arte di arrangiarsi e sulle mosse e tattiche ad essi relative menzionate nelle sue parole qui sopra citate, ma anche, ad esempio, le sue ricerche sulle esperienze vissute con le musiche dei rave e di altri rituali di trance musicale, le sue riflessioni sul melodico, sul senso del ritmo, sul sound, sulle funzioni delle canzoni, e sull’uso dei riff e degli intervalli al loro interno. Su tutto questo domina la sua idea di competenza musicale, che ha fornito un quadro teorico particolarmente stimolante. Altrettanto cruciali continueranno a essere per noi, infine, tutte le sue considerazioni metodologiche, sempre aperte al dialogo: dalle questioni da lui sollevate su come far interagire la semiotica con altre discipline alle sue fondamentali posizioni su come affrontare la popular music negli ambiti educativi, in quelli musicoterapici e nella prospettiva della Globalità dei Linguaggi.
Non dimenticheremo mai Gino Stefani: la sua amicizia, la sua costante disponibilità a collaborare e i suoi preziosi contributi, fonti di stimoli e di riflessioni sempre attuali, sono e rimarranno un punto di riferimento per gli studiosi di popular music di tutte le generazioni.
Roberto Agostini e Luca Marconi